“La vita può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti.”
Kierkegaard
La persona anziana vive una fase specifica di un processo inarrestabile attraverso il quale ci si modifica in funzione del tempo: la vita.
In questa fase del ciclo della vita la persona si trova a doversi adattare a grandi cambiamenti fisici, emotivi e cognitivi, nonché ai cambiamenti sociali ed ambientali. Alcuni cambiamenti che la persona anziana può dover fronteggiare sono: il pensionamento – la separazione dai figli – diventare nonni – la perdita del coniuge – l’ insorgere della menopausa per la donna e dell’andropausa per l’uomo.
Dinnanzi a tali cambiamenti la persona necessita di ridefinire la propria identità personale e sociale. Quando ciò, per una serie di motivi, non accade o avviene in parte, può succedere che l’anziano diventi una persona disperata, depressa, malata, arrabbiata, esigente, aggressiva, dipendente, ecc.
Ciò può comportare, sia per la persona che per coloro che la circondano, una forte sofferenza, numerose problematiche nella convivenza e può essere fonte di preoccupazione laddove non vi è un controllo quotidiano della situazione. Per quanto riguarda, invece, i familiari e/o i caregivers che si trovano a dover assistere il proprio congiunto malato può succedere che rimangono rinchiusi nel loro dolore senza la condivisione con alcuno della propria situazione. Il senso di isolamento è la costante che ricorre negli argomenti esposti dai caregivers e che rappresenta l’aspetto che maggiormente limita la vita di queste persone.
Mantenere i contatti con gli altri può essere alquanto difficoltoso, soprattutto quando gli amici non riescono a comprendere la situazione e rimangono delusi se il caregiver rifiuta gli inviti; altre volte, invece, è lo stesso caregiver che non riesce o non vuole condividere il proprio dolore con gli amici e preferisce mantenere una facciata di vita apparentemente tranquilla e “normale”. Molto spesso, inoltre, tacere l’impatto emotivo del lavoro di cura nei confronti del familiare malato può portare i caregivers a sviluppare stati depressivi o gravi stati di angoscia.
La mancanza di comunicazione dei propri stati emotivi rappresenta, pertanto, un altro punto fondamentale dell’isolamento. A volte, inoltre, anche all’interno della stessa famiglia può nascere una sorta di tacito accordo affinché si eviti l’argomento malattia il più a lungo possibile, nel tentativo illusorio di non dover affrontare la realtà di ciò che si sta vivendo. Inoltre, i caregivers spesso riducono molto il loro tempo libero e ciò difficilmente permette loro di conservare i contatti sociali al di fuori della sfera familiare. Una simile situazione è probabile che abbia ripercussioni sui rapporti tra i vari componenti della famiglia, in particolare tra i coniugi.
Infine, la malattia può anche divenire l’elemento critico che riattiva nodi problematici del passato: conflitti genitori-figli, rivalità fraterne, abbandoni coniugali, ruoli di caregiver tacitamente assegnati e prontamente ricoperti (generalmente sono le figlie ad occuparsi personalmente della cura dei genitori), ecc.
La malattia può, infatti, diventare momento di confronto tra genitori e figli e ricordare la presenza di un forte legame di sangue: la cura dei genitori è una forma di restituzione e di continuità generazionale, non è solo ripagamento di un debito (il genitore ha donato la vita al figlio), ma anche riconoscimento di un dono ricevuto (anche il genitore ha ricevuto la vita); è l’attuazione della riconoscenza nelle modalità con cui è stata tramandata all’interno della famiglia stessa.
Ostacoli affettivi alla trasmissione del senso della riconoscenza possono esservi quando i genitori sollecitano nei figli sensi di colpa e di vergogna, ribadendone lo scarso impegno nel prendersi cura di loro; oppure i figli possono non manifestare atteggiamenti di cura nei confronti dei genitori per la presenza di conflitti non risolti.
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